Con un richiamo alla ninfa solitaria che può solo ripetere l’eco delle parole pronunciate da qualcuno, il pavilion è un chiaro eco della storia che lo circonda. La costruzione allo stesso tempo si allarga e si restringe, diventa visibile ed invisibile, solida ma eterea. È un elemento ingannevole, una figura che risuona con le dimensioni e le proporzioni del palazzo barocco già esistente. È una scatola magica (quasi un vaso di Pandora) che riflette il cortile (1:1), definita da una silhouette su due livelli: seguendo l’asse esistente, la parte inferiore è una stanza centrale regolare (5 m di larghezza) con quattro accessi; mentre la parte superiore è una sorta di piramide rovesciata che si estende verso l’esterno ai quattro punti cardinali (10 metri totali di larghezza); l’inclinazione della parte superiore (1:2) si spinge verso il perimetro del cortile. Essendo l’intera struttura ricoperta in acciaio inox lucido, essa diventa un vero e proprio specchio per il pavimento in pietra, il colonnato e i retrostanti corridoi. Nella sua radicale semplicità, il pavillon diventa una presenza immateriale che, quasi come un miraggio, cattura nelle sue superfici la bellezza discreta dei 370 anni del palazzo. Se nella parte inferiore i visitatori incontrano una versione inaspettata dell’architettura che li circonda, volgendo gli occhi al cielo ritrovano invece loro stessi riflessi in un soffitto sorprendentemente inclinato. Entrando nella stanza centrale alla base della struttura, all’interno di un massiccio telaio a griglia in acciaio, il peso della costruzione inaspettatamente svanisce lasciando posto ad una vista su un cielo in continuo cambiamento.

Architect

Mauricio Pezo, Sofia von Ellrichshausen