La massività dell’architettura milanese reinterpretata con sensibilità "nordica" per la luce e la frammentazione dei volumi: è questo l’insolito mix che caratterizza il recente progetto di estensione dell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano ad opera del duo irlandese Grafton Architects.
L’intenzione di Yvonne Farrell and Shelley McNamara, risultate vincitrici del concorso internazionale ad inviti bandito nel 2002, era, infatti, quella di concepire un progetto che non fosse percepito come estraneo, come un’importazione, ma piuttosto come un pezzo di città.
Affascinate dalla solidità esterna dell’architettura locale, che però nasconde piccoli tesori interni, e dalla vitalità del vicino mercato del Broletto, le Grafton hanno concepito il nuovo edificio come un complesso molto permeabile ed aperto alla città rispecchiando in pieno la vocazione pubblica del campus universitario.
Il nuovo edificio occupa un lotto rettangolare, di 70x160m, compreso tra viale Bligny e Via Roentgen, all’interno del complesso universitario dell’Università Bocconi che vanta interventi di architetti quali Mario Pagano, autore della prima sede del 1941, Giovanni Muzio che si è occupato dell’ampliamento del 1966 ed Ignazio Gardella progettista dell’edificio inaugurato nel 2001. In questo contesto il nuovo ampliamento si inserisce quale strumento di filtro con la città, complesso e frammentato esso si compone di vari corpi di fabbrica che si sviluppano su cinque o sei piani fuori terra e sono uniti da un basamento comune di tre piani interrati. Il risultato è un complesso articolato definito da volumi compatti sospesi su corti e spazi semipubblici e aperti sia verso l’interno che verso l’esterno. Il grande foyer dell’aula magna, i cortili interni, i terrazzamenti ai vari livelli sono tutti definiti da superfici con grandi luci, aggetti, ampi tagli e aperture che permettono alla luce naturale di entrare e illuminarli.
I corpi di fabbrica che ospitano aule per la didattica, gli uffici, una biblioteca e la grande aula magna, si incastrano fra loro, venendo a creare negli interstizi pozzi di luce che raggiungono e illuminano quasi a giorno anche livelli posti a nove metri sotto il suolo.
Questo articolato sistema, vetrato e arioso all’interno, all’esterno è racchiuso da una cortina compatta in pietra, spostata rispetto all’estremità delle due arterie stradali che ne definiscono il lotto, in modo da creare uno spazio pubblico esterno, un "fermentatore di attività sociali" che funge da filtro con il caos della città ma anche da guida, da invito per il visitatore verso il cuore interno dell’edificio. L’estremità nord, che fronteggia l’arteria costituita da Viale Bligny, si rivolge alla vita pulsante della città insinuandosi con una facciata che diventa l’espediente architettonico per aprire una "finestra su Milano", simbolo del contributo culturale che l’Università Bocconi fornisce alla vita della città. Elemento dominante di questo prospetto è il volume aggettante ed inclinato dell’Aula Magna, che è in grado di ospitare fino a mille persone e funzionerà da vero e proprio teatro, con torre scenica e palco mobile.
La sua platea individua all’esterno un grande foyer, uno spazio semipubblico, racchiuso da una facciata in vetro extrachiaro estremamente leggera, grazie al particolare sistema strutturale che lascia a vista solamente gli elementi in vetro. Altro elemento caratterizzante i prospetti dell’edificio è la biblioteca configurata come un solido volume aggettante che sembra sospeso sulla strada. L’idea era quella di realizzare uno "scudo roccioso", costruito con un materiale robusto come la pietra Ceppo di Gré, molto impiegata nell’architettura milanese di tutti i tempi.
All’interno, l’universo degli uffici della ricerca è "sospeso fra terra e cielo", un labirinto che sale piano con una rete interattiva di cortili, ponti, terrazze e corridoi che stimolano sovrapposizione con la possibilità di movimenti orizzontali e verticali.
Questo luogo di scambio è stato pensato come composto da raggi di spazio, sospesi a formare una spettacolare copertura che filtra luce a tutti i livelli. Per le pavimentazioni di tutte le aree di connessione, dato anche l’alto flusso di persone e la conseguente usura, ma anche per gli uffici di tutti i piani fuori terra, è stato scelto un materiale estremamente resistente: le lastre di Azul Bateig della collezione New Stone di GranitiFiandre. Il particolare colore di questa pietra, si fonde perfettamente con gli altri materiali impiegati nell’edificio - cemento a vista, Ceppo di Grè e vetro - offrendo alle superfici di calpestio la resistenza necessaria e tutti i vantaggi prestazionali propri del grés porcellanato, contribuendo all’intento delle Grafton di costruire qualcosa di "robusto e coraggioso".
Testo di Flores Zanchi
Studio: Grafton Architects
Architects: Yvonne Farrell, Shelley McNamara (directors), Gerard Carty, Philippe O'Sullivan, Simona Castelli (project architect)